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lunedì 1 ottobre 2012

Diversalità Poetiche di ottobre per Renato Leopizzi


Diversalità N. diciotto apre con il numero di ottobre dedicato a Renato Leopizzi. La rivista è in download al link: http://www.francescopasca.it

Per questo nuovo numero, Diversalità Poetiche propone un recupero della figura di Renato Leopizzi letta sullo sfondo di un confronto dialettico (poetico, letterario, artistico, di riflessione) attorno ai sistemi repressivi ponendo il dialogo e l’ascolto, incessanti, in uno spaccato argomentativo in cui in maniera ampia si affrontano tematiche legate a sistemi repressivi, spesso di matrice culturale, il tutto legato al recupero della figura di Leopizzi che da sfondo, filo conduttore, tema centrale e altro ancora, e conferisce forza e respiro al prodotto finale.

In questo Foglio:

• Egidio Marullo - ritratti di libertà
• Paolo Vincenti - memoria
• Elio Coriano - H64367/68/69/70/71/72/73/74
• Francesco Aprile - le pratiche dell'orrore
• Maurizio Nocera - Grillaquila / Leopizzi
• Giancarlo Serafino - nel ventre della morte
• Luc Fierens - immagini
• Francesco Carrozzo - libertà
• Caterina Trovato - semper ire
• Francesco Pasca - l'opportunità nascosta
• Cristiano Caggiula - l'indica pungente
• Antonio L. Verri diario 22 - 1-1984
con una lettera di Ignazio Apolloni

venerdì 22 giugno 2012

Edoardo De Candia, il tratto selvaggio dei colori delle belve

Il pensée du Midi in Albert Camus, non abbandonarsi alla hybris, al peccato, il senso del limite per non sfociare incondizionatamente né nella ragione, né nella religione, non arrendersi a quel senso tutto europeizzante della catastrofe del vivere, della totalità della ragione. Mantenersi alla giusta distanza, nutrirsi della luce. I colori di Matisse, le belve del fauvismo, le forme allungate delle donne di Matisse, lo strabordare di queste forme, di gambe, braccia, il nudo rosa, corpi distesi danzanti espressione di una dimensione che è affermazione di vita. Edoardo De Candia è sintesi ed evoluzione di tutto questo. Pittore, nato a Lecce nel 1933 e morto, sempre a Lecce, nell’agosto del 1992. Il poeta Antonio Leonardo Verri lo inserì fra i Selvaggi Salentini. I nudi di De Candia sono tratto, sono luce e tormento, espressione di una pittura che è sintesi dell’esperienza selvaggia delle forme e dei colori di Matisse, ma che in De Candia si realizzano, nei nudi, come tratto e desiderio, ritornare a qualcosa di dimenticato, il raccordo con la coperta delle mancanze, dei turbamenti. La gioia del vivere di quello che Verri definì un “Cavaliere senza terra” è raccontata proprio dal poeta di Caprarica di Lecce che in svariati scritti ed interviste tratteggia la figura essenzialmente Midi del penserio e del gesto di De Candia, che si nutre di luce, di sole, di mare, di un bagno che appartiene a chi sa come accostarsi alle acque per districarvisi in un momento di raccordo ad una dimensione silenziosa perché dimenticata, recondita, nascosta nell’intimo della condizione umana, del nuotare in un universo di luce, di calore che accoglie la vita e sostiene la creazione. I nudi di De Candia rendono chiara una sintesi di tutto questo, esulando dal colore delle forme nelle figure di Matisse, si fanno tratto, lucidità di un desiderio che dall’Altro è frustrato, filtrando il tormento nell’essenzialità delle forme che si aprono alla vita, ma che il vissuto personale del pittore traduce in questa sua sintesi estrema, fra l’esperienza del manicomio e l’inesaurita richiesta di vita, nella continua rappresentazione delle forme, dei corpi attraverso cui provare una winnicottiana autoesperienza di sé, attraverso la ricezione del corpo e della sua immagine. Scrive Francesco Saverio Dòdaro, nel volume “Edoar Edoar” curato da Maurizio Nocera per le edizioni Il Raggio Verde nel 2006, che le coperte del letto con le quali Edoardo De Candia, disteso, gioca, sono «un’inquadratura di grande interesse: fotogrammi winnicottiani, connotativi di profonda solitudine, di richiesta d’amore, di protezione maternale. E qui l’aggettivo va ampliato, va vocalizzato tra i lampioni spenti dell’agorà e i camici bianchi della follia. Tra le manette e l’elettroshock. Il gioco delle coperte. E lo sputo. Il rutto. Lo sperma. Tutta da sviluppare la com-prensione». Edoardo De Candia, «una delle figure artistiche più sottovalutate del nostro ‘900» (Egidio Marullo, docente di Storia dell’arte), fu espressione totale dell’arte per l’arte che non si sporca con nulla e continua a generarsi nella purezza della sua luce, nell’incontro mai accantonato, nonostante le vicissitudini, nella continua ricerca di positività che nell’Altro esiste nel possibile delle relazioni sociali. Lucio Fontana, a Milano, si accorse di lui, percependone «il guizzo, la genialità; fino a che trova il modo per mandarlo in Inghilterra, a Londra, presso un college, una buona Accademia d’Arte» (A. L., Verri, Edoardo, un cavaliere senza terra, Sud Puglia, settembre 1988). Ma Edoardo cercava il contatto, come quella parola “Amo” dipinta nel tratto selvaggio dei colori delle belve.

Francesco Aprile
2012-06-22


martedì 6 marzo 2012

Come fece come non fece la favola e l'archetipo

Lo spazio in cui la parola cresce, monta, diventa un sentiero alberato d'immagini lontane, è quello di un linguaggio atipico perché fuori dall'abitudinario mondo frenetico, schematico, della comunicazione scritta che, stanca, s'allontana dall'uomo e rifugia negli angoli angusti della burocrazia. Oggi che il mondo s'alimenta d'immagini e il nostro inconscio, su posizioni lacaniane e prima freudiane, si struttura come linguaggio, d'immagini come residui sfocati, lontani, le assorbe indiscriminatamente, spesso senza la consapevolezza conscia, al punto che l'uomo-utente riceve il flusso comunicativo come una folata di vento che gli si scontra sulla pelle perforandolo, fermandovisi dentro, all’ascolto nell’ascolto. Oggi che il contenuto mnestico è travalicato da uno sradicamento concettuale, una dittatura delle immagini (per un loro rivolgimento comunicativo) per la costruzione dell'uomo-prodotto, disabitua l'individuo alla lettura, sembra importante concentrare la propria attenzione su di un recupero immaginativo tale che l'immagine non sia disabitudine volta a fini strumentali, bensì allo stimolo-crescita di una strutturazione psichica ancora capace d'allattarsi al mondo e stupirsi di esso con esso. In un contesto tale tesse la sua storia nella storia "Come fece come non fece", un volume edito da Kurumuny a firma di Luigi Chiriatti ed Egidio Marullo (le cui illustrazioni accompagnano le pagine da sfogliare come una sorta di metastoria nella quale scendere e scorrere i propri passi) con prefazione di Antonio Errico che scrive «Ma avemmo lo sbalordimento di questa sonagliera di parole, di questo universo compreso tra dimensione archetipica e invenzione, di queste sonorità e ritmi preesistenti all'espressione, di questa stratificazione di sensi, multiformi fantasie. [...] Avemmo queste favole, una volta, questo trattenimiento de li peccerille, e tutto quel poco che abbiamo imparato dopo da queste favole proviene e a queste ritorna». Le favole presenti nel volume provengono da un lavoro di ricerca più ampio e dettagliato, raccolte dalla voce diretta dei contadini, in dialetto, e riadattate al flusso della parola di oggi, senza tradirne l’origine, s’adagiano sullo smarrimento contemporaneo, costituendo un blocco mnestico che si articola nel plesso di una struttura sottostante inconscia straussiana, a-temporale, che concreta l’esperienza di un vissuto umano, emozionale e relazionale, comunicativo di stampo archetipo come espresso da Antonio Errico nell’introduzione alla raccolta.

Francesco Aprile
2012-03-03
Da Il Paese Nuovo, 2012-03-06