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lunedì 1 ottobre 2012

Diversalità Poetiche di ottobre per Renato Leopizzi


Diversalità N. diciotto apre con il numero di ottobre dedicato a Renato Leopizzi. La rivista è in download al link: http://www.francescopasca.it

Per questo nuovo numero, Diversalità Poetiche propone un recupero della figura di Renato Leopizzi letta sullo sfondo di un confronto dialettico (poetico, letterario, artistico, di riflessione) attorno ai sistemi repressivi ponendo il dialogo e l’ascolto, incessanti, in uno spaccato argomentativo in cui in maniera ampia si affrontano tematiche legate a sistemi repressivi, spesso di matrice culturale, il tutto legato al recupero della figura di Leopizzi che da sfondo, filo conduttore, tema centrale e altro ancora, e conferisce forza e respiro al prodotto finale.

In questo Foglio:

• Egidio Marullo - ritratti di libertà
• Paolo Vincenti - memoria
• Elio Coriano - H64367/68/69/70/71/72/73/74
• Francesco Aprile - le pratiche dell'orrore
• Maurizio Nocera - Grillaquila / Leopizzi
• Giancarlo Serafino - nel ventre della morte
• Luc Fierens - immagini
• Francesco Carrozzo - libertà
• Caterina Trovato - semper ire
• Francesco Pasca - l'opportunità nascosta
• Cristiano Caggiula - l'indica pungente
• Antonio L. Verri diario 22 - 1-1984
con una lettera di Ignazio Apolloni

giovedì 14 giugno 2012

Elio Coriano, versi per la memoria: una performance per le tabacchine

Mercoledì 13 giugno 2012 il poeta Elio Coriano, accompagnato dai suoni de Le Anime Bianche, ricordava, coi suoi versi, le tabacchine morte bruciate in fabbrica a Calimera (Le) il 13 giugno del 1960.
 
 
 
Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, III LEGISLATURA - DISCUSSIONI - SEDUTA POMERIDIANA DEL 14 GIUGNO 1960, da http://legislature.camera.it
 
«Proprio ieri a Calimera, in provincia di Lecce, sono morte arse vive quattro operaie tabacchine in un magazzino. Se ella dà uno sguardo alla grande stampa, ai giornali quotidiani vede come il fatto viene riferito e con molti dettagli. Oltre a queste povere donne bruciate vive vi sono state altre cinque operaie ricoverate in ospedale insieme con due uomini per ustioni gravi e per intossicazioni da solfuro di carbonio. Ella mi potrà osservare: e che cosa c'entra il concessionario? Onorevole ministro, si faccia un giro nella provincia di Lecce per constatare come sono attrezzati i magazzini di tabacco. Inoltre (e questa è la cosa più grave) tutti ammettono che causa della sciagura è stata la inosservanza delle leggi da parte della ditta concessionaria. Perché è risaputo che tassative disposizioni affidano a squadre di specializzati muniti di speciale licenza, riguardanti l'impiego di gas tossici, la disinfestazione dei depositi di tabacco. La mattina del 13 giugno nei locali della ditta Villani e Franzo, dove si faceva evaporare il solfuro di carbonio per proteggere dalle tarme il tabacco ivi depositato, non si doveva neanche permettere la presenza di estranei oltre gli autorizzati. Neanche a titolo di curiosità. Invece la Villani e Franzo, come fanno del resto tutti, aveva assunto nove tabacchine perché le pagava solo 700 lire al giorno. Per risparmiare in sostanza qualche cosa come dieci mila lire. E tutto ciò sotto gli occhi dei funzionari del monopolio, mentre l'ispettorato del lavoro finge di non sapere. [...] Onorevole ministro, se vi fosse stata una sola uscita di sicurezza le operaie della ditta Franzo e Villani di Calimera si sarebbero certamente salvate». 
 

Elio Coriano, una performance per le tabacchine
 
La sera del 13 giugno 2012, Elio Coriano, accompagnato dai suoni de “Le anime bianche”, rendeva omaggio alla memoria; coi suoi versi, infatti, ricordava che conoscenza è consapevolezza, che crea quella coscienza che in quanto cittadini e uomini ci rende autori, protagonisti attivi della nostra esistenza e non solo attori passivi nello spazio sociale di un sistema repressivo che ci controlla, usa e consuma. I versi di Elio Coriano hanno ripercorso le ore di dolore strette tra «mani di fumo» di un 13 giugno diverso, di un 13 giugno del 1960, quando a Calimera alcune tabacchine bruciarono durante il lavoro. È l’occasione per intraprendere, in versi, tutto un percorso che molte volte si lascia cadere nel vuoto, dopo le urla dello scandalo immediatamente seguente alle morti bianche, è l’occasione per ribadire che è necessario apprendere, dai libri come dalla vita, dalle situazioni sconnesse che si presentano davanti agli occhi e agli occhi chiedono spazio, quello necessario per l’assimilazione, per la crescita, per il giusto respiro che nel corpo si modella quando è tempo d’aprire orizzonti e concepirne di nuovi, per non piegarsi a quelli ormai saturi di una società che svaluta l’uomo, sminuendolo nelle morti bianche, nella deprivazione degli affetti, oggi costellati di niente. Il tempo poetico di Elio Coriano è quello della performance, è quello di una dimensione ritmica che ha il sapore denso della vita, la rabbia del fuoco e la sopportazione del dolore che appartiene a quella grandine che s’abbatte sul terreno e sul terreno si scioglie senza dar cenno d’arrendersi, senza moderarsi nella caduta, anzi, ritrovandosi, nuova, una volta che come acqua fredda s’asciuga al sole, come lacrime, quelle di dolore che il poeta racconta nei suoi versi, quei versi, che in quella dimensione del ricordo, nel dolore s’amplificano e denunciano l’ingiustizia di quelle morti sul lavoro, di quel 13 giugno del 1960 che diventa tutte le morti sul lavoro lavate via dai codici, di cui parla in apertura Coriano, quei codici delle leggi, di quel diritto portato a fin di bene, ma che nato in mezzi repressivi ha già in sé il dolore e lo sgomento di chi inerme muore. I suoni delle Anime bianche, lontani dall’essere semplice sottofondo, conferiscono alla performance la dimensione reale, fisica, del ricordo che ci appare vivido davanti agli occhi, mescolato ad un canto spezzato, che trascinato si trascina a forza dal passato, perché, dice Coriano, “dimenticare significa esser complici”, e allora il palco è terreno diverso da quello a cui normalmente funge, è lo spazio di un campo, di un canto di lavoro dimenticato, sudato, incrostato di fatica e sangue, di chi appartiene “alla generazione della terra sotto le unghie” (Coriano) e dal dimenticatoio del nostro tempo sociale cerca il ritorno, cerca coscienze e consapevolezze che sappiano non essere aride, ma coltivarsi nella lotta e nel rispetto, nella tutela sacra della vita sul lavoro.

Francesco Aprile
2012-06-14

martedì 21 febbraio 2012

A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico

«Datemi un cerino vero, con fiamma viva / e fatemi giocare tra i castelli di carta, i sogni, i libri / il freddo non vi morderà la punta delle dita / non vi indicherà tra le nebbie il sentiero selvaggio del caos / né ghiaccerà il futuro davanti ai nasi schiacciati alla finestra»

Elio Coriano, H 4965, in A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico

da Il Paese Nuovo, 2012-02-10

La poetica di Elio Coriano ha le fattezze di un tempo indeterminato perché è nelle parole dell’inconscio che, l’autore, ha forgiato trame e vissuti quotidiani, una dialettica poetica che scolpito il tempo ne ha fatto dimensione diversa, immutata, coordinata dalle parole che riallacciano l’uomo a dimensioni che oggi sembrano dimenticate. È un percorso poetico che ufficialmente inizia nel 1995, anno dell’esordio letterario dell’autore che inaugurò, con A tre deserti dall’ombra dell’ultimo sorriso meccanico, la collana Internet Poetry, fondata e diretta da Francesco Saverio Dòdaro per Conte Editore – la prima collana di poesia telematica. Lo stesso testo, un titolo a carte sciolte, strutturate come cartoline nel formato 12×21, è risultato vincitore del Premio Venezia Poesia nel 1996. Nel testo introduttivo Francesco Saverio Dòdaro parla, non a torto, di «dodici punti di rilevamento [...] dodici isoglosse» ché s’intersecano nell’atto della lettura e delimitano uno spartito unico di consonanze amniotiche che, primordiali, battono il tempo come un tamburo pulsa sulla metrica del cuore, e si riempie il respiro delle vastità naturali che s’aprono nello sguardo e l’animo umano. C’è questo tempo indeterminato, perché non catalogabile, senza dimensioni di sorta, né temporali né spaziali, dove le coordinate metriche scorgono dimensioni, di cui dicevo in apertura, che, sì, sembrano dimenticate, ma albergano distratte nell’implicita anatomia sensibile dell’uomo, nello spaccato inconscio che è il viaggio unico, il filo conduttore che dall’origine accompagna genti diverse, è nell’origine del ciò che è stato hegeliano, nel Wesen ist was gewesen ist, che si realizza la condizione ottimale in cui si esplicitano i versi di Coriano. E scrive ancora Dòdaro «Dodici isoglosse. Del dolore universale: il neumanniano Weltschmerz [...] Dodici isoglosse. Del frammento, prima di Platone, poi di Freud, Lacan, Kristeva» perché del dolore Coriano ha fatto mezzo per forgiare il tempo, è nel dolore universale che, sul bilico dell’annullamento psico-poietico, il verso si genera e condensa le sue energie lungo un tracciato che sa leggere la vastità esperienziale dell’origine comune, come una danza di tempi lontani in cui alti tamburi a fessura issati come totem innalzavano la sacralità dell’uomo nel richiamo totale e fertile dispensatore delle nostre tenere lacerazioni, di nascite di umori di lontananze e comunioni «nella misteriosa foresta, tra i lupi con le ali, gli angeli / cornuti / e la musica dei corpi suonati come flauti» [Coriano, E., H 4169] irrompe una poetica tesa, che gestisce la spazialità della pagina memore del Caso e del colpo di dadi dell’ultimo Mallarmé, lacera il testo – dalla sua accezione accademica – nell’assenza della punteggiatura, quasi a segnare un tragitto di nascita, come se ogni singolo haiku fosse un corpo a se stante che, in quanto linguaggio, è generazione continua di una ricerca che nel verso libero della natura s’erge a costruzione poietica della dimensione umana. «Una solitudine viva come una folla impazzita» [Coriano, E., H 4839] – perché è nella folla la solitudine estasiata della ripetizione, nello straniamento collettivo dell’urtarsi dell’uomo-numero – che «Mentre la coscienza con corpo di donna si feriva i polsi offrendosi ai lupi» [Coriano, E., H 4839] la vita poetica di Coriano è manifestazione di un recupero del respiro, del verso che non si sottrae al ritmo e nel ritmo si genera da sé come, ancora, elemento unico, a se stante, che s’innalza in danze divinatorie che albeggiano di uomo in uomo, di linguaggio in linguaggio, corrispondendo le parole all’alba di un continuo “ciò che è stato”.

Francesco Aprile
2012-02-08