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sabato 7 luglio 2012

Vedo sempre fuoco

Calimera, 13 giugno 1960: ricordo delle tabacchine bruciate durante il lavoro

C’era una donna in un letto d’ospedale. Una donna e le sue urla, il suo dolore. C’era una donna in un letto d’ospedale nel resoconto della giornalista Miriam Mafai, ripreso, dalle pagine della rivista “Vie Nuove”,  all’interno del volume “Il grembiule degli Angeli” curato da Maria Roca Montinaro nel 2002. La giornalista Miriam Mafai ripercorreva, nell’intervento del 1960 intitolato “Bruciate vive sulla via del tabacco”, le vicende delle tabacchine morte durante il lavoro il 13 giugno dello stesso anno a Calimera. La donna, della quale raccontava le urla, lo strazio, il dolore, Lucia Di Donfrancesco, era ricoverata in ospedale in preda all’incubo dell’incendio e ai suoi danni che sarebbero stati irreparabili al punto da portarla alla morte. Sei donne sono morte in quell’incendio. Dagli atti parlamentari della seduta pomeridiana del 14 giugno 1960 emerge che «se vi fosse stata una sola uscita di sicurezza le operaie della ditta Franzo e Villani di Calimera si sarebbero certamente salvate». Scriveva Miriam Mafai: «Mi brucia sempre qui – mormorava la donna indicandomi il petto. Respira a fatica [...] e mi guarda attraverso una immensa lontananza. [...] La donna che mi guarda senza vedermi bene si chiama Lucia Di Donfrancesco [...] Ce ne sono altre due in ospedale: Epifania Cucurachi e Elvira Castrignanò. Quest’ultima tende verso di me il braccio ustionato, stretto ancora nella fasciatura, tenta di alzarsi a sedere e mi grida: Vedo sempre fuoco… Non posso dormire. Vedo sempre fiamme tutta la notte». Nelle pagine che, nel volume curato da Maria Roca Montinaro, sono dedicate alla morte delle sei tabacchine (Lina Tommasi, Luigia Tommasi, Epifania Cucurachi, Lucia Di Donfrancesco, Luigia Bianco e Assunta Pugliese), le foto della raccolta del tabacco raccontano uno spaccato di storia che è preludio alla “immensa lontananza” raccontata da Miriam Mafai, a tutta quella distanza che è figlia di una condizione sociale che se solo fosse stata – e fosse, oggi, con le dovute differenze – supportata da politiche culturali-sociali attente, con lo sguardo mirato all’accogliere, non il profitto, ma la dimensione umana, si sarebbero seminate nel tempo, e decisamente in un tempo minore di quello che ancora si deve attualizzare, le condizioni necessarie al riconoscimento che dovrebbero esser poste come concetto base di sistemi democratici, a partire da quella “dignità” come universalità intrinseca negli individui, nella loro uguaglianza che, nel caso specifico del 13 giugno 1960, come in tanti altri precedenti e successivi, è stata soppiantata, l’uguaglianza e l’umana dimensione, dal principio della prestazione, della concezione del profitto. Il racconto riportato da Miriam Mafai, infatti, è quello di una realtà sociale in cui «Il concessionario si colloca come arbitro e signore tra il Monopolio e il tabacchicoltore, godendo di un privilegio e di un potere assoluti nei confronti di quest’ultimo, e di garanzie e facilitazioni eccezionali dal primo. [...] La benevolenza dello Stato nei confronti della figura del concessionario è dimostrata da un episodio di questi giorni: dopo lunghe lotte e scioperi locali e nazionali, il lodo Zaccagnini ha fissato un aumento salariale alle tabacchine. Ebbene, il Monopolio si è affrettato a corrispondere ai concessionari la somma di lire 3 miliardi a copertura degli aumenti salariali…che ammontano complessivamente ad un miliardo scarso! Tanta generosità non sorprende, quando si sappia che tra i concessionari si contano alcuni illustri esponenti del partito al Governo». Il racconto, troppe volte comune, della dimensione umana soggiogata da quella economica del dominio.

Francesco Aprile
2012-07-06

giovedì 14 giugno 2012

Elio Coriano, versi per la memoria: una performance per le tabacchine

Mercoledì 13 giugno 2012 il poeta Elio Coriano, accompagnato dai suoni de Le Anime Bianche, ricordava, coi suoi versi, le tabacchine morte bruciate in fabbrica a Calimera (Le) il 13 giugno del 1960.
 
 
 
Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, III LEGISLATURA - DISCUSSIONI - SEDUTA POMERIDIANA DEL 14 GIUGNO 1960, da http://legislature.camera.it
 
«Proprio ieri a Calimera, in provincia di Lecce, sono morte arse vive quattro operaie tabacchine in un magazzino. Se ella dà uno sguardo alla grande stampa, ai giornali quotidiani vede come il fatto viene riferito e con molti dettagli. Oltre a queste povere donne bruciate vive vi sono state altre cinque operaie ricoverate in ospedale insieme con due uomini per ustioni gravi e per intossicazioni da solfuro di carbonio. Ella mi potrà osservare: e che cosa c'entra il concessionario? Onorevole ministro, si faccia un giro nella provincia di Lecce per constatare come sono attrezzati i magazzini di tabacco. Inoltre (e questa è la cosa più grave) tutti ammettono che causa della sciagura è stata la inosservanza delle leggi da parte della ditta concessionaria. Perché è risaputo che tassative disposizioni affidano a squadre di specializzati muniti di speciale licenza, riguardanti l'impiego di gas tossici, la disinfestazione dei depositi di tabacco. La mattina del 13 giugno nei locali della ditta Villani e Franzo, dove si faceva evaporare il solfuro di carbonio per proteggere dalle tarme il tabacco ivi depositato, non si doveva neanche permettere la presenza di estranei oltre gli autorizzati. Neanche a titolo di curiosità. Invece la Villani e Franzo, come fanno del resto tutti, aveva assunto nove tabacchine perché le pagava solo 700 lire al giorno. Per risparmiare in sostanza qualche cosa come dieci mila lire. E tutto ciò sotto gli occhi dei funzionari del monopolio, mentre l'ispettorato del lavoro finge di non sapere. [...] Onorevole ministro, se vi fosse stata una sola uscita di sicurezza le operaie della ditta Franzo e Villani di Calimera si sarebbero certamente salvate». 
 

Elio Coriano, una performance per le tabacchine
 
La sera del 13 giugno 2012, Elio Coriano, accompagnato dai suoni de “Le anime bianche”, rendeva omaggio alla memoria; coi suoi versi, infatti, ricordava che conoscenza è consapevolezza, che crea quella coscienza che in quanto cittadini e uomini ci rende autori, protagonisti attivi della nostra esistenza e non solo attori passivi nello spazio sociale di un sistema repressivo che ci controlla, usa e consuma. I versi di Elio Coriano hanno ripercorso le ore di dolore strette tra «mani di fumo» di un 13 giugno diverso, di un 13 giugno del 1960, quando a Calimera alcune tabacchine bruciarono durante il lavoro. È l’occasione per intraprendere, in versi, tutto un percorso che molte volte si lascia cadere nel vuoto, dopo le urla dello scandalo immediatamente seguente alle morti bianche, è l’occasione per ribadire che è necessario apprendere, dai libri come dalla vita, dalle situazioni sconnesse che si presentano davanti agli occhi e agli occhi chiedono spazio, quello necessario per l’assimilazione, per la crescita, per il giusto respiro che nel corpo si modella quando è tempo d’aprire orizzonti e concepirne di nuovi, per non piegarsi a quelli ormai saturi di una società che svaluta l’uomo, sminuendolo nelle morti bianche, nella deprivazione degli affetti, oggi costellati di niente. Il tempo poetico di Elio Coriano è quello della performance, è quello di una dimensione ritmica che ha il sapore denso della vita, la rabbia del fuoco e la sopportazione del dolore che appartiene a quella grandine che s’abbatte sul terreno e sul terreno si scioglie senza dar cenno d’arrendersi, senza moderarsi nella caduta, anzi, ritrovandosi, nuova, una volta che come acqua fredda s’asciuga al sole, come lacrime, quelle di dolore che il poeta racconta nei suoi versi, quei versi, che in quella dimensione del ricordo, nel dolore s’amplificano e denunciano l’ingiustizia di quelle morti sul lavoro, di quel 13 giugno del 1960 che diventa tutte le morti sul lavoro lavate via dai codici, di cui parla in apertura Coriano, quei codici delle leggi, di quel diritto portato a fin di bene, ma che nato in mezzi repressivi ha già in sé il dolore e lo sgomento di chi inerme muore. I suoni delle Anime bianche, lontani dall’essere semplice sottofondo, conferiscono alla performance la dimensione reale, fisica, del ricordo che ci appare vivido davanti agli occhi, mescolato ad un canto spezzato, che trascinato si trascina a forza dal passato, perché, dice Coriano, “dimenticare significa esser complici”, e allora il palco è terreno diverso da quello a cui normalmente funge, è lo spazio di un campo, di un canto di lavoro dimenticato, sudato, incrostato di fatica e sangue, di chi appartiene “alla generazione della terra sotto le unghie” (Coriano) e dal dimenticatoio del nostro tempo sociale cerca il ritorno, cerca coscienze e consapevolezze che sappiano non essere aride, ma coltivarsi nella lotta e nel rispetto, nella tutela sacra della vita sul lavoro.

Francesco Aprile
2012-06-14