Calimera, 13 giugno 1960: ricordo delle tabacchine bruciate durante il lavoro
C’era una donna in un letto d’ospedale. Una donna e
le sue urla, il suo dolore. C’era una donna in un letto d’ospedale nel
resoconto della giornalista Miriam Mafai, ripreso, dalle pagine della
rivista “Vie Nuove”, all’interno del volume “Il grembiule degli Angeli”
curato da Maria Roca Montinaro nel 2002. La giornalista Miriam Mafai
ripercorreva, nell’intervento del 1960 intitolato “Bruciate vive sulla
via del tabacco”, le vicende delle tabacchine morte durante il lavoro il
13 giugno dello stesso anno a Calimera. La donna, della quale
raccontava le urla, lo strazio, il dolore, Lucia Di Donfrancesco, era
ricoverata in ospedale in preda all’incubo dell’incendio e ai suoi danni
che sarebbero stati irreparabili al punto da portarla alla morte. Sei
donne sono morte in quell’incendio. Dagli atti parlamentari della seduta
pomeridiana del 14 giugno 1960 emerge che «se vi fosse stata una sola
uscita di sicurezza le operaie della ditta Franzo e Villani di Calimera
si sarebbero certamente salvate». Scriveva Miriam Mafai: «Mi brucia
sempre qui – mormorava la donna indicandomi il petto. Respira a fatica
[...] e mi guarda attraverso una immensa lontananza. [...] La donna che
mi guarda senza vedermi bene si chiama Lucia Di Donfrancesco [...] Ce ne
sono altre due in ospedale: Epifania Cucurachi e Elvira Castrignanò.
Quest’ultima tende verso di me il braccio ustionato, stretto ancora
nella fasciatura, tenta di alzarsi a sedere e mi grida: Vedo sempre
fuoco… Non posso dormire. Vedo sempre fiamme tutta la notte». Nelle
pagine che, nel volume curato da Maria Roca Montinaro, sono dedicate
alla morte delle sei tabacchine (Lina Tommasi, Luigia Tommasi, Epifania
Cucurachi, Lucia Di Donfrancesco, Luigia Bianco e Assunta Pugliese), le
foto della raccolta del tabacco raccontano uno spaccato di storia che è
preludio alla “immensa lontananza” raccontata da Miriam Mafai, a tutta
quella distanza che è figlia di una condizione sociale che se solo fosse
stata – e fosse, oggi, con le dovute differenze – supportata da
politiche culturali-sociali attente, con lo sguardo mirato
all’accogliere, non il profitto, ma la dimensione umana, si sarebbero
seminate nel tempo, e decisamente in un tempo minore di quello che
ancora si deve attualizzare, le condizioni necessarie al riconoscimento
che dovrebbero esser poste come concetto base di sistemi democratici, a
partire da quella “dignità” come universalità intrinseca negli
individui, nella loro uguaglianza che, nel caso specifico del 13 giugno
1960, come in tanti altri precedenti e successivi, è stata soppiantata,
l’uguaglianza e l’umana dimensione, dal principio della prestazione,
della concezione del profitto. Il racconto riportato da Miriam Mafai,
infatti, è quello di una realtà sociale in cui «Il concessionario si
colloca come arbitro e signore tra il Monopolio e il tabacchicoltore,
godendo di un privilegio e di un potere assoluti nei confronti di
quest’ultimo, e di garanzie e facilitazioni eccezionali dal primo. [...]
La benevolenza dello Stato nei confronti della figura del
concessionario è dimostrata da un episodio di questi giorni: dopo lunghe
lotte e scioperi locali e nazionali, il lodo Zaccagnini ha fissato un
aumento salariale alle tabacchine. Ebbene, il Monopolio si è affrettato a
corrispondere ai concessionari la somma di lire 3 miliardi a copertura
degli aumenti salariali…che ammontano complessivamente ad un miliardo
scarso! Tanta generosità non sorprende, quando si sappia che tra i
concessionari si contano alcuni illustri esponenti del partito al
Governo». Il racconto, troppe volte comune, della dimensione umana
soggiogata da quella economica del dominio.
2012-07-06
Nessun commento:
Posta un commento