Romano Sambati
Lacrimae rerum
Dal 7 luglio fino al 7 settembre 2012
Lequile, Palazzo Andrioli, piazza San Vito
Orari: 10-12.30; 18-20.30
A trent’anni esatti dal percorso di ricerca sul De rerum natura di
Lucrezio, Romano Sambati presenta l’ultimo risultato della sua attività
pittorica e scultorea. Il nuovo ciclo, che trae il nome da un celebre
verso dell’Eneide di Virgilio, Lacrimae rerum, comprende dipinti e
sculture realizzati negli ultimi sei anni, dopo che nel 2006 una mostra
nella Chiesa leccese di San Francesco della Scarpa aveva offerto alla
riflessione del pubblico le facce essenzializzate del paesaggio
salentino. Lacrimae rerum, in allestimento presso il Palazzo Andrioli di
Lequile, è una discesa nel profondo di uno spazio in cui è bandito
qualsiasi elemento di riconoscibilità geografica e in cui appaiono
tracce di presenze umane, figure di argilla, in una resa estremamente
estenuata, spoglia, che frustra sistematicamente ogni tentativo di lettura familiarizzante.
Due
temi ricevono un particolare spicco: gli Angeli senza Dio e gli Angeli
senza cielo, che si inseriscono con una cifra stilistica ben
caratterizzata all’interno dell’angelografia occidentale, accanto ai
discendenti contemporanei degli angeli moderni di Paul Klee. Pitture e
sculture che annunciano allo sguardo tracce di una trascendenza
metafisica, ‘religiosa’ in senso lato, ma in contrasto essenziale con i
modi consueti e codificati di vivere il sacro. “Pittore dell’ombra”, lo
definisce Lorenzo Mango: “[…] Sambati sa, come il pittore Wladimir di
Rilke, che si può dare corpo sensibile solo al tentativo di figurare
l’assoluto, si può guardare dentro l’abisso ma solo vederne l’ombra.
Quell’ombra, il riflesso originario e fondativo del mondo, il suo
mistero, è tutto ciò che possiamo aspirare di vedere, restando lì, come Wladimir, la faccia sulle mani, nel silenzio della notte, ad ascoltarne il suono lontano”.
Nel
saggio che accompagna il catalogo, Emanuele Coppola illustra la novità
del linguaggio pittorico di Sambati, tracciando un’analogia con la
teologia apofatica: “Apofatica è la pittura che ambisce a inverare una
contraddizione: far rifluire nei limiti precisi di un luogo fisico ciò
che è oltre il fisico, negando parimenti le soluzioni
positivo-costruttive e quelle negativo-distruttive; cosicché, se appare
palese la sua differenza rispetto ai vari stili che hanno contrassegnato
l’epoca d’oro della figurazione classica, meno scontato ma altrettanto
netto è lo scarto rispetto a quella semantica della negazione del mondo,
che fiorisce con l’Espressionismo astratto e l’Informale”.
Sulla
produzione scultorea Antonio Del Guercio ha parole convincenti: “se
considero le sculture […] devo prendere atto del prezioso ‘far della
mano’, per dirla con linguaggio settecentesco, che in esse si incorpora.
Questa straordinaria sapienza artigianale, quasi all’incontro tra
l’esattezza del gesto dell’ebanista e la materialità erotica del gesto
del pastaio, appare a servizio di tutti quei dati psicologici e
culturali che sono nelle pitture: quasi fossero, queste preziose
sculture, anche una sottile elegia sulla scomparsa del fare artigianale
popolano. Sospese tra amoroso rispetto di tradizioni popolaresche,
memoria struggente della plastica antica e crudele senso d’una perdita
irreversibile, le sculture di Sambati aggiungono la loro voce non
marginale a quella d’una persuasiva storia di pittura”.
Accompagna
la mostra una pubblicazione a metà strada fra il tradizionale catalogo
d’arte e lo studio monografico: il volume, edito da Degli Alami, ospita
gli interventi di Antonio Del Guercio e Lorenzo Mango, autori di altri
contributi critici su Sambati negli anni Ottanta e Novanta, e un saggio
di Emanuele Coppola, che ripercorre ampia parte della carriera artistica
di Sambati, impostandone un’interpretazione generale. Sono riprodotti
ventotto dipinti, ventidue sculture e sei disegni; seguono, infine, una
parte antologica (1981-2006), una breve biografia dell’artista ed i
consueti apparati bibliografici.