Dieci anni. Dieci anni di
resistenza, così sono stati definiti da François R. Cambuzat,
cantante-chitarrista del trio italo-francese degli Enfance Rouge. Lunedì 9
aprile 2012, la sala che ospita gli Enfance Rouge è gremita, colma, in uno
spaccato dove il tempo ha smesso di segnarsi su di un calendario, mescolando
distanze e spartiti diversi, note, umori, ha acceso clamori e condensato
visioni. Uno spazio dove il tempo è la dimensione del confronto, come
costruzione quotidiana di un dialogo intessuto su matrici di volta in volta
diverse. Sono i dieci anni de I Sotterrani, circolo Arci di Copertino. Un 9
aprile di dieci anni fa c'erano sempre gli Enfance Rouge a colmare distanze che
nella loro musica sono trame di culture lontane. C'è sempre un centro storico,
nel bilico costante fra il recupero di
sé e la contemporaneità di un processo propositivo dell’arte coerente e
costante. Un vicolo. Luci soffuse di uno spazio a metà fra le Caves parigine
degli anni ’50 e I Sotterranei di Kerouac; perché «ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo
parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti
retorici preamboli come faccio ora [...] Ma cominciamo dalla storia dei
Sotterranei di San Francisco»
scriveva Jack Kerouac in un violentato angolo di prosa, ora acceso nella sera
di un 9 aprile 2012 sotto l'assedio di un bombardamento che travalica la
semplice condizione musicale.
Gli Enfance Rouge sono sul palchetto, picchiano
sugli strumenti come chi sa come dove e perché andare, come chi ha dalla sua
parte anni di coerenza autorale, ideologica, ma di quell'ideologia alla quale
precedono le idee, il senso, eludendo la fossilizzazione semantica nella
dimensione significante di un simulacro sbatacchiato al vento; c'è questo nella
sera che ci corre addosso, a noi presenti nella sala, e ci lascia col sorriso
sul volto di chi ha potuto, oltre tutto, riempirsi lo sguardo, e l'udito, con
atmosfere che nel dialogo fra culture si manifestano, sussurrano, in una
condizione in cui amano tendersi a quella dimensione che Bertrand Russell
individua come necessaria al progresso sociale, a quel tendersi e districarsi
costante fra una coesione sociale e una dimensione individuale infervorata nel
creare, lontane, le due condizioni, dal ristagno da omologazione sociale del
mondo contemporaneo. Così, risuonano ancora le parole di François R. Cambuzat,
quei dieci anni di resistenza di uno spazio che ha saputo porsi come punto di
un dialogo importante, costante, lontano dalle consuetudini della provincia,
dove spesso accade che le grida, volte alla necessità di un confronto, seguano
un qualche accadimento, facendosi solo conseguenza e non sguardo attento,
privando il tessuto sociale di quella quotidiana partecipazione che ne dovrebbe
esser linfa.
Francesco Aprile
2012-04-10
Il Paese Nuovo, 2012-04-11
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