domenica 1 luglio 2012

Romano Sambati, Lacrimae Rerum

Romano Sambati
Lacrimae rerum

Dal 7 luglio fino al 7 settembre 2012
Lequile, Palazzo Andrioli, piazza San Vito
Orari: 10-12.30; 18-20.30
 
A trent’anni esatti dal percorso di ricerca sul De rerum natura di Lucrezio, Romano Sambati presenta l’ultimo risultato della sua attività pittorica e scultorea. Il nuovo ciclo, che trae il nome da un celebre verso dell’Eneide di Virgilio, Lacrimae rerum, comprende dipinti e sculture realizzati negli ultimi sei anni, dopo che nel 2006 una mostra nella Chiesa leccese di San Francesco della Scarpa aveva offerto alla riflessione del pubblico le facce essenzializzate del paesaggio salentino. Lacrimae rerum, in allestimento presso il Palazzo Andrioli di Lequile, è una discesa nel profondo di uno spazio in cui è bandito qualsiasi elemento di riconoscibilità geografica e in cui appaiono tracce di presenze umane, figure di argilla, in una resa estremamente estenuata, spoglia, che frustra sistematicamente ogni tentativo di lettura familiarizzante.

Due temi ricevono un particolare spicco: gli Angeli senza Dio e gli Angeli senza cielo, che si inseriscono con una cifra stilistica ben caratterizzata all’interno dell’angelografia occidentale, accanto ai discendenti contemporanei degli angeli moderni di Paul Klee. Pitture e sculture che annunciano allo sguardo tracce di una trascendenza metafisica, ‘religiosa’ in senso lato, ma in contrasto essenziale con i modi consueti e codificati di vivere il sacro. “Pittore dell’ombra”, lo definisce Lorenzo Mango: “[…] Sambati sa, come il pittore Wladimir di Rilke, che si può dare corpo sensibile solo al tentativo di figurare l’assoluto, si può guardare dentro l’abisso ma solo vederne l’ombra. Quell’ombra, il riflesso originario e fondativo del mondo, il suo mistero, è tutto ciò che possiamo aspirare di vedere, restando lì, come Wladimir, la faccia sulle mani, nel silenzio della notte, ad ascoltarne il suono lontano”.

Nel saggio che accompagna il catalogo, Emanuele Coppola illustra la novità del linguaggio pittorico di Sambati, tracciando un’analogia con la teologia apofatica: “Apofatica è la pittura che ambisce a inverare una contraddizione: far rifluire nei limiti precisi di un luogo fisico ciò che è oltre il fisico, negando parimenti le soluzioni positivo-costruttive e quelle negativo-distruttive; cosicché, se appare palese la sua differenza rispetto ai vari stili che hanno contrassegnato l’epoca d’oro della figurazione classica, meno scontato ma altrettanto netto è lo scarto rispetto a quella semantica della negazione del mondo, che fiorisce con l’Espressionismo astratto e l’Informale”.

Sulla produzione scultorea Antonio Del Guercio ha parole convincenti: “se considero le sculture […] devo prendere atto del prezioso ‘far della mano’, per dirla con linguaggio settecentesco, che in esse si incorpora. Questa straordinaria sapienza artigianale, quasi all’incontro tra l’esattezza del gesto dell’ebanista e la materialità erotica del gesto del pastaio, appare a servizio di tutti quei dati psicologici e culturali che sono nelle pitture: quasi fossero, queste preziose sculture, anche una sottile elegia sulla scomparsa del fare artigianale popolano. Sospese tra amoroso rispetto di tradizioni popolaresche, memoria struggente della plastica antica e crudele senso d’una perdita irreversibile, le sculture di Sambati aggiungono la loro voce non marginale a quella d’una persuasiva storia di pittura”.

Accompagna la mostra una pubblicazione a metà strada fra il tradizionale catalogo d’arte e lo studio monografico: il volume, edito da Degli Alami, ospita gli interventi di Antonio Del Guercio e Lorenzo Mango, autori di altri contributi critici su Sambati negli anni Ottanta e Novanta, e un saggio di Emanuele Coppola, che ripercorre ampia parte della carriera artistica di Sambati, impostandone un’interpretazione generale. Sono riprodotti ventotto dipinti, ventidue sculture e sei disegni; seguono, infine, una parte antologica (1981-2006), una breve biografia dell’artista ed i consueti apparati bibliografici.




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