mercoledì 11 aprile 2012

Dieci anni di Sotterranei. Resistere al tempo che passa


 Dieci anni. Dieci anni di resistenza, così sono stati definiti da François R. Cambuzat, cantante-chitarrista del trio italo-francese degli Enfance Rouge. Lunedì 9 aprile 2012, la sala che ospita gli Enfance Rouge è gremita, colma, in uno spaccato dove il tempo ha smesso di segnarsi su di un calendario, mescolando distanze e spartiti diversi, note, umori, ha acceso clamori e condensato visioni. Uno spazio dove il tempo è la dimensione del confronto, come costruzione quotidiana di un dialogo intessuto su matrici di volta in volta diverse. Sono i dieci anni de I Sotterrani, circolo Arci di Copertino. Un 9 aprile di dieci anni fa c'erano sempre gli Enfance Rouge a colmare distanze che nella loro musica sono trame di culture lontane. C'è sempre un centro storico, nel  bilico costante fra il recupero di sé e la contemporaneità di un processo propositivo dell’arte coerente e costante. Un vicolo. Luci soffuse di uno spazio a metà fra le Caves parigine degli anni ’50 e I Sotterranei di Kerouac; perché «ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora [...] Ma cominciamo dalla storia dei Sotterranei di San Francisco» scriveva Jack Kerouac in un violentato angolo di prosa, ora acceso nella sera di un 9 aprile 2012 sotto l'assedio di un bombardamento che travalica la semplice condizione musicale. 
 Gli Enfance Rouge sono sul palchetto, picchiano sugli strumenti come chi sa come dove e perché andare, come chi ha dalla sua parte anni di coerenza autorale, ideologica, ma di quell'ideologia alla quale precedono le idee, il senso, eludendo la fossilizzazione semantica nella dimensione significante di un simulacro sbatacchiato al vento; c'è questo nella sera che ci corre addosso, a noi presenti nella sala, e ci lascia col sorriso sul volto di chi ha potuto, oltre tutto, riempirsi lo sguardo, e l'udito, con atmosfere che nel dialogo fra culture si manifestano, sussurrano, in una condizione in cui amano tendersi a quella dimensione che Bertrand Russell individua come necessaria al progresso sociale, a quel tendersi e districarsi costante fra una coesione sociale e una dimensione individuale infervorata nel creare, lontane, le due condizioni, dal ristagno da omologazione sociale del mondo contemporaneo. Così, risuonano ancora le parole di François R. Cambuzat, quei dieci anni di resistenza di uno spazio che ha saputo porsi come punto di un dialogo importante, costante, lontano dalle consuetudini della provincia, dove spesso accade che le grida, volte alla necessità di un confronto, seguano un qualche accadimento, facendosi solo conseguenza e non sguardo attento, privando il tessuto sociale di quella quotidiana partecipazione che ne dovrebbe esser linfa.

Francesco Aprile
2012-04-10
Il Paese Nuovo, 2012-04-11

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