Mercoledì 13 giugno 2012 il poeta Elio Coriano,
accompagnato dai suoni de Le Anime Bianche, ricordava, coi suoi versi,
le tabacchine morte bruciate in fabbrica a Calimera (Le) il 13 giugno
del 1960.
Camera
dei Deputati, Atti Parlamentari, III LEGISLATURA - DISCUSSIONI -
SEDUTA POMERIDIANA DEL 14 GIUGNO 1960, da http://legislature.camera.it
«Proprio
ieri a Calimera, in provincia di Lecce, sono morte arse vive quattro
operaie tabacchine in un magazzino. Se ella dà uno sguardo alla grande
stampa, ai giornali quotidiani vede come il fatto viene riferito e con
molti dettagli. Oltre a queste povere donne bruciate vive vi sono state
altre cinque operaie ricoverate in ospedale insieme con due uomini per
ustioni gravi e per intossicazioni da solfuro di carbonio. Ella mi potrà
osservare: e che cosa c'entra il concessionario? Onorevole ministro, si
faccia un giro nella provincia di Lecce per constatare come sono
attrezzati i magazzini di tabacco. Inoltre (e questa è la cosa più
grave) tutti ammettono che causa della sciagura è stata la inosservanza
delle leggi da parte della ditta concessionaria. Perché è risaputo che
tassative disposizioni affidano a squadre di specializzati muniti di
speciale licenza, riguardanti l'impiego di gas tossici, la
disinfestazione dei depositi di tabacco. La mattina del 13 giugno nei
locali della ditta Villani e Franzo, dove si faceva evaporare il solfuro
di carbonio per proteggere dalle tarme il tabacco ivi depositato, non
si doveva neanche permettere la presenza di estranei oltre gli
autorizzati. Neanche a titolo di curiosità. Invece la Villani e Franzo,
come fanno del resto tutti, aveva assunto nove tabacchine perché le
pagava solo 700 lire al giorno. Per risparmiare in sostanza qualche cosa
come dieci mila lire. E tutto ciò sotto gli occhi dei funzionari del
monopolio, mentre l'ispettorato del lavoro finge di non sapere. [...]
Onorevole ministro, se vi fosse stata una sola uscita di sicurezza le
operaie della ditta Franzo e Villani di Calimera si sarebbero certamente
salvate».
Elio Coriano, una performance per le tabacchine
La
sera del 13 giugno 2012, Elio Coriano, accompagnato dai suoni de “Le
anime bianche”, rendeva omaggio alla memoria; coi suoi versi, infatti,
ricordava che conoscenza è consapevolezza, che crea quella coscienza che
in quanto cittadini e uomini ci rende autori, protagonisti attivi della
nostra esistenza e non solo attori passivi nello spazio sociale di un
sistema repressivo che ci controlla, usa e consuma. I versi di Elio
Coriano hanno ripercorso le ore di dolore strette tra «mani di fumo» di
un 13 giugno diverso, di un 13 giugno del 1960, quando a Calimera alcune
tabacchine bruciarono durante il lavoro. È l’occasione per
intraprendere, in versi, tutto un percorso che molte volte si lascia
cadere nel vuoto, dopo le urla dello scandalo immediatamente seguente
alle morti bianche, è l’occasione per ribadire che è necessario
apprendere, dai libri come dalla vita, dalle situazioni sconnesse che si
presentano davanti agli occhi e agli occhi chiedono spazio, quello
necessario per l’assimilazione, per la crescita, per il giusto respiro
che nel corpo si modella quando è tempo d’aprire orizzonti e concepirne
di nuovi, per non piegarsi a quelli ormai saturi di una società che
svaluta l’uomo, sminuendolo nelle morti bianche, nella deprivazione
degli affetti, oggi costellati di niente. Il tempo poetico di Elio
Coriano è quello della performance, è quello di una dimensione ritmica
che ha il sapore denso della vita, la rabbia del fuoco e la
sopportazione del dolore che appartiene a quella grandine che s’abbatte
sul terreno e sul terreno si scioglie senza dar cenno d’arrendersi,
senza moderarsi nella caduta, anzi, ritrovandosi, nuova, una volta che
come acqua fredda s’asciuga al sole, come lacrime, quelle di dolore che
il poeta racconta nei suoi versi, quei versi, che in quella dimensione
del ricordo, nel dolore s’amplificano e denunciano l’ingiustizia di
quelle morti sul lavoro, di quel 13 giugno del 1960 che diventa tutte le
morti sul lavoro lavate via dai codici, di cui parla in apertura
Coriano, quei codici delle leggi, di quel diritto portato a fin di bene,
ma che nato in mezzi repressivi ha già in sé il dolore e lo sgomento di
chi inerme muore. I suoni delle Anime bianche, lontani dall’essere
semplice sottofondo, conferiscono alla performance la dimensione reale,
fisica, del ricordo che ci appare vivido davanti agli occhi, mescolato
ad un canto spezzato, che trascinato si trascina a forza dal passato,
perché, dice Coriano, “dimenticare significa esser complici”, e allora
il palco è terreno diverso da quello a cui normalmente funge, è lo
spazio di un campo, di un canto di lavoro dimenticato, sudato,
incrostato di fatica e sangue, di chi appartiene “alla generazione della
terra sotto le unghie” (Coriano) e dal dimenticatoio del nostro tempo
sociale cerca il ritorno, cerca coscienze e consapevolezze che sappiano
non essere aride, ma coltivarsi nella lotta e nel rispetto, nella tutela
sacra della vita sul lavoro.
Francesco Aprile
2012-06-14
Francesco Aprile
2012-06-14
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