Le minoranze intellettuali che si richiamano, in un modo o in un altro modo, a una prospettiva di trasformazione radicale (e internazionale) della società non possono più illudersi (e lo sanno) di avere compiuto il proprio dovere con l‟agitazione-propaganda verso se stesse o verso gli altri. Debbono entrare nel merito. Debbono cioè assumere il rischio che ha sempre accompagnato le minoranze che agiscono sul piano delle sovrastutture: la produzione e la formulazione di “opere” di oggetti ideologici e la proposta – implicita ed esplicita – di “valori-modelli” […]. Il giornalista, lo scrittore, il collaboratore di una casa editrice o della televisione, l‟insegnante, il ricercatore, quando abbiano resa esplicita la propria condizione di prestatori d‟opera al servizio della mistificazione e dell‟oppressione capitalistica, debbono sapere che la lotta per i contenuti del proprio lavoro, vale a dire per la qualità profonda di esso (una lotta che di fatto è inseparabile da quella per la organizzazione del sapere e per la sua destinazione), non solo non è inutile ma è la condizione per conferire un serio significato politico alle buone intenzioni degli intellettuali e per connetterlo quindi al generale movimento di massa.
Fortini, F., Intellettuali e Nuova sinistra, in "Id., Questioni di frontiera", 1972, p. 133.
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